La figura umana | Seconda esposizione della serie Vis-à-Vis 2D
La figura umana
Cristina Antonini, Francesca Ida Calogero, Luisa Figini, Aurora Ghielmini, Giovanni Gilgen, Paola Häring, Pascal Murer, Marco Prati, Fabiola Quezada
Ospedale Regionale di Locarno La Carità
All’invito della Commissione culturale dell’Ospedale Regionale di Locarno, Visarte Ticino ha risposto con la proposta di tre esposizioni tematiche; dopo la prima su Informale e concettuale, assai gradita, è ora il turno di approfondire il tema della figura umana nelle opere bidimensionali: dipinti, disegni e anche fotografie.
Il figurativo è un ambito immanente, sempre presente nell’arte fin dalla preistoria e fondamentale anche nell’arte digitale. Come per la prima esposizione, attingere dai tanti soci di Visarte Ticino vuol dire metterei in dialogo opere e tecniche ben differenti tra loro.
Stavolta nel lungo corridoio al piano terra dell’ospedale espongono nove artisti ticinesi.
Hanno scelto quasi tutti di partecipare con poche opere, per cui nonostante il numero di artisti coinvolti l’allestimento è piuttosto minimale. Seguiamo il percorso dalla reception.
Dopo la vetrina che contiene alcune opere su carta dei medesimi artisti, assieme a inviti, cataloghi e i contatti per gli interessati all’acquisto delle opere esposte (direttamente dagli artisti), l’esposizione si apre con il quadrato costituito da quattro opere a loro volta quadrate di Pascal Murer (1966), artista proveniente dal canton Uri e che si è formato soprattutto a Vienna ma che da decenni fa parte della scena ticinese con il suo atelier sempre aperto in Piazza Sant’Antonio, a Locarno. Qui presenta delle mani che si disegnano da sole, mostrando capacità tecnica in una tematica diversa da quella per cui è principalmente noto, cioè la scultura, con cui è presente attualmente anche nella mostra di Visarte Ticino al Castello Visconteo.
La parete con i titoli dell’esposizione ospita le opere dell’artista che introduce la locandina invito, la fotografa Luisa Figini (1954). La serie Sonar ben rappresenta la qualità della sua ricerca nella fotografia digitale. L’acqua di una piscina permette in modo non forzato la composizione di vere coreografie e sovrapposizioni tra piani esistenziali. Toccanti sono anche le lievi variazioni cromatiche tra le figure e le singole immagini di questa serie.
Dall’intero corridoio è possibile vedere un grande olio su tela di Giovanni Gilgen (1970). Quella di Gilgen è pittura per antonomasia: dipinti figurativi e materici, ricchi di passione, quasi infuocati, dagli esiti che possono far pensare a Pompei e Venezia e che mostrano rimandi sia alla classicità che ad approcci contemporanei, forse nella vicina penisola.
Seguono tre pannelli che mostrano un progetto particolare di Francesca Ida Calogero (1983). Quest’artista ha realizzato una piccola scultura di forma umana, lasciandola ai piedi di un castagno e fotografando per mesi il processo con cui essa diveniva parte della natura, anche man mano distruggendosi. L’artista ha scelto di esporre nove momenti di questa dissoluzione nel sottobosco, in modo non cronologico e con un allestimento particolare.
Una lunga parete si apre con gli schizzi in bianco e nero di Marco Prati (1955). Artista noto soprattutto per le sue sculture – tra cui una partecipante alla suddetta esposizione attuale nel Castello Visconteo – da anni sta andando verso una sintesi del tratto. Anche nelle opere scultoree le superfici stanno divenendo segmenti, in particolare tubi di ferro. In questi schizzi ugualmente rappresenta il reale tratteggiandolo in modo icastico e anche ironico.
La stessa parete ospita tre opere invece assai colorate, dipinti di Paola Häring (1963). Mostrano figure in interni intimi e minimali. Le sue pennellate operano una sintesi con esiti non simili a quelli dell’artista precedente, e come l’intera esposizione anche questa parete gioca su un dialogo tra produzioni artistiche volutamente eterogenee. Il pubblico in questo modo può trovare agevolmente spunti di interesse e trovare artisti di suo gradimento.
L’esposizione prosegue con le tecniche miste di Aurora Ghielmini (1962). Lei usa tempera, matita e foglia di rame su cartoncino per rappresentare figure fantastiche che sembrano tratte da mitologie di un luogo e un’epoca imprecisata. Queste affascinanti opere appartengono a un ciclo intitolato Il peso della farfalla; in esse forme umane mostrano una corporeità trasfigurata, in cui sembrano visibili organi interni. Sono figure forse in transizione tra la terra e il cielo.
Torniamo a una pittura figurativa realistica con Fabiola Quezada (1968). Uno dei tre quadri è direttamente ispirato al grande Caravaggio. Il corpo umano occupa l’intera superficie dipinta con colori accesi e composizioni che mostrano interessanti commistioni con l’astrattismo e l’espressionismo. Nella vetrina che apre la mostra troviamo anche un disegno digitale della stessa artista.
La mostra si chiude con tre lavori di Cristina Antonini (1976): un grande tessuto dipinto e due differenti composizioni in cui le stampe fotografiche su acetato trasparente si sovrappongono alla tela dipinta o vengono accostate a materiali inusuali, dando luogo a inedite sperimentazioni visive.
L’artista rintraccia situazioni intime tra la folla in strada o nel viavai frenetico di una stazione dei treni, tra partenze e ritorni, lunghi addii e nuovi incontri, come accade in Private Environment (Ambiente privato). Qui lo scatto fotografico di un ambiente ferroviario è incastonato nella silhouette di un bacio appassionato tra due individui, che si ripete come un’eco tra le candide superfici di polistirene, sagomate e sovrapposte a rilievo, per esaltare l’intensità del momento.
Questa esposizione sarà visibile sino al 27 ottobre; Visarte Ticino curerà un’ultima mostra tematica a primavera 2024, dedicata a forma e paesaggio, sempre nel lavoro degli artisti di Visarte Ticino.
Ringraziamo il presidente della Commissione culturale, Simone Galati, per l’invito e l’aiuto offerto, e Tognetti Auto per il sostegno costante.
Riccardo Lisi