La matita è l’invenzione delle invenzioni
È disegnando che si inventa il disegno. Questo non scaturisce gratuitamente dalla semplice facoltà immaginativa. L’artista cerca, attraverso la sua esplorazione graffita, il disegno che sta nella sua mano, coadiuvata dal suo strumento primordiale. La punta della matita, come quella di pietra del primitivo, o quella d’acciaio dell’incisore, è la metamorfosi dell’opposizione digitale, che, a mo’ di moncherino, si cangia, si trasfonde in quell’unico appuntito indice che segna. Quel momento è l’alba dell’antropologia, della semiologia, dell’interpretazione.
Tutto discende dal disegno e questo viene concretizzato da una matita. Già Leonardo ne aveva argomentato, magari riandando col ricordo al celebre aneddoto di Giotto pastorello che traccia il cerchio, osservato da Cimabue.
In conclusione, così come è in ultima analisi la lingua che scrive i libri, l’arte è “scritta” da una mano, che si allunga, nel suo anatomico appuntarsi, in un apice di grafite. O in una punta d’acciaio, per segnare il metallo.
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